Nel contesto di grande innovazione concettuale dell ’architettura degli inizi del ‘900, il razionalismo italiano e i suoi interpreti dell’epoca si distinguono, rispetto ai modelli ispiratori europei, per la sbandierata intuizione di non condannare la tradizione classica. L’artifizio più verbale che non pratico, di voler solo trasformare la tradizione in qualcosa di più attuale, li condiziona forse nell’esercitare liberamente la creatività rivoluzionaria del moderno linguaggio architettonico, ma li rende altresì compatibili con un regime che, del rapporto con la grandiosità storica classica, fa un vanto irrinunciabile.
Questa fortunata intuizione diventa anche la causa della temporanea condanna storica, determinandone un diffuso quanto malevolo giudizio post-bellico, che solo la ventata di revisionismo degli anni ‘90 porterà via. Da li in poi, si arriverà al riconoscimento della valenza innovativa del movimento, che affrancato dalla riduttiva etichetta di semplice ‘architettura di regime’ ne ricolloca le migliori realizzazioni e i suoi migliori interpreti nella storia dell’architettura, italiana e non solo. Tornando al quadro evolutivo dell’architettura di inizio secolo, la fondazione di Littoria ha rappresentato uno dei più interessanti laboratori urbanistici del paese; opportunità purtroppo sfruttata solo in parte.
La costruzione delle cosiddette città di fondazione, Littoria, Sabaudia, Pontinia, Aprilia e Pomezia, era una operazione non solo strutturale, ma anche propagandistica del regime, che si proponeva di dimostrare il suo carattere rivoluzionario e la sua capacità di farsi interprete della necessità di “dare la terra ai contadini”, soprattutto a quelli reduci dalla recente guerra mondiale.
I nuovi comuni rurali, come Benito Mussolini voleva che fossero chiamati , dovevano servire a dimostrare la scelta anti-urbana del fascismo, l’intenzione cioè di bloccare l’espansione della grande città, ripopolare le campagne e favorire in tal modo una forte crescita della popolazione senza un proporzionale aumento delle richieste dei beni di consumo.
Latina, la prima delle nuove città, sorta con il nome di Littoria, fu fondata nel 1932; incaricato di eseguirne il piano fu l’architetto Oriolo Frezzotti che segue un modello planimetrico centrale e radiocentrico.
Nella stesura del piano l’architetto Frezzotti si attiene alla lettera alle indicazioni ricevute dall’ingombrante committente, che voleva in quel luogo, una cittadina/borgo rurale, che riprendesse le caratteristiche tipiche dei borghi sorti durante la prima fase della bonifica stessa.
Mussolini però cambia improvvisamente idea, quando, a fronte dell’interessamento generale della stampa nazionale ed internazionale, intuisce che la fondazione delle città nuove è una straordinaria occasione di propaganda.
Non ci si poteva quindi limitare alla creazione di un
borgo rurale, ma doveva essere realizzata un’opera che ricordasse a tutti la “grandezza” del regime. Venne quindi deciso che la nuova città dovesse essere capoluogo di Provincia. A seguito di questo, i lavori iniziati nel ’32 e che fin li procedevano velocemente, subiscono una virata. Il piano va revisionato e Frezzotti si mostra disponibile ad assecondare ogni richiesta, così si avvia tutta una serie di opere di modifica e di nuove costruzioni mirate a soddisfare le ambizioni di “grandezza” della nuova città. Accolta la certezza dell’impianto planimetrico di tipo radiocentrico, le variazioni si sovrappongono senza alterarlo, ma andando ad esasperarne la rigidezza attraverso la monumentalizzazione degli assi. Un sistema di piazze integrerà e sostituirà l’idea di centro del borgo rurale, enormi colonnati si accosteranno a bassi porticati intonacati. Un insieme “eclettico” con cui ci si prefigge di accostare due anime: quella rurale e quella monumentale. In conclusione, è lecito ritenere che il tardivo cambiamento di rotta, la necessità di stupire il mondo con la ‘rapidità fascista’ di una edificazione che si voleva comunque concretizzata in brevissimo tempo, la volontà del regime di celebrare con quella fondazione i suoi meriti, senza rischiare di doverli condividere con alcun protagonista/antagonista, portarono a scelte che ne condizionarono sicuramente il risultato. Nessuno degli edifici simbolo della fondazione di Latina, raggiunge le massime espressioni del movimento razionalista che li ha comunque verosimilmente ispirati.
La spesso approssimativa ed in più di un caso opportunistica contaminazione stilistica di Frezzotti, la mai smentita militanza futurista di Mazzoni, la chiara ascendenza funzionalista di Nicolosi, determinano un incerto crogiuolo creativo, che sfocia però nella concretizzazione di una esperienza irripetibile, cui forse gli stessi interpreti parteciparono senza avere ben chiari i connotati e le potenzialità dell’avventura che li vedeva protagonisti. Restano comunque evidenti, pur tra le tante contraddizioni, le contrapposte influenze, i condizionamenti materiali ed ideologici, che l’esperimento di Littoria costituisce un campione delineato in tutto il suo spessore, ricco di concreti e considerevoli momenti di ricerca, di sperimentazione, di vera e propria dialettica architettonica. Per questo, gli edifici simbolo di questa epopea urbanistica e, ancora oggi, di una città che negli anni a seguire ha mal coltivato questo suo gene innovativo, hanno dunque tutte le ragioni per essere riconosciuti come oggetto di studio, di turismo settoriale, e perché no, di vanto e di ispirazione artistica per chi li ha vissuti e li vive ogni giorno.